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IL CERCHIO - THE RING
(THE RING)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 24 febbraio 2003
 
di Gore Verbinski, con Naomi Watts, Martin Henderson, David Dorfman, Brian Cox (Stati Uniti, 2002)
 
C'è una videocassetta che uccide. Chiunque la guardi, anche casualmente. Segue telefonata, ovviamente anonima: che annuncia al malcapitato, già traumatizzato dal visionamento non proprio sollazzevole, che non avrà più che per sette giorni. Fra i poveretti c'è la giornalista Naomi Watts, alla sua prima uscita dopo le meraviglie compiute in MULHOLLAND DRIVE. Pure David Lynch non vi spiegava troppo la scienza al popolo: ma alla logica drammaturgia del film ne sostituiva una tutta sua, fatta di coerenti, ipnotici rinvii nel nostro immaginario fantastico. Qui, non contate più di tanto sugli sforzi della brava Naomi (la cosa migliore del film, assieme alla disinvolta fattura sul glauco) né tanto meno sulla sceneggiatura per spiegarvi come si concretizzino i crimini in questione: la nostra bella-e-brava se ne parte ad inquisire su un'isola dove i cavalli impazziscono (ingrandimenti inquietanti delle pupille dei quadrupedi che non sarebbero dispiaciuti a Cronenberg e Lynch), ma non ne sapremo di più sulla sorte delle vittime: carbonizzate dallo spavento, immagino.

IL CERCHIO - THE RING è il remake americano di un film giapponese di Hideo Nakata, divenuto immediatamente oggetto di culto nel 1998; tanto da originare altre tre pellicole, e tutta una serie televisiva con relativo corollario di gadget per consumatori di popcorn. Ma l'originale di Nakata era un piccolo capolavoro del terrore: la maledizione di "the ring " (il colpo di telefono) rinnovava la grande tradizione giapponese del cinema sui fantasmi confrontandola con il realismo contemporaneo. Era il riflesso di un male più vasto, e molto più interessante: quello provocato dalle immagini (in primis televisive) che ci circondano ed affliggono.

Nella formattazione ai canoni hollywoodiani i rinvii sociologici vanno a farsi benedire fra le pieghe di una sceneggiatura tra il traballante ed il supponente. Già autore di un minaccioso THE MEXICAN nel quale aveva semidistrutto Julia Roberts e Brad Pitt, qui Gore Verbinski compie meno danni sulle ali della fotografia elegante di Bojan Bazelli: si appoggia ai ricordi di SCREAM e di IL SESTO SENSO, un po' di Hitch e tanto di Lynch per via di Naomi: prima di soccombere alle prodezze degli autori dello script.


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